Enpam e società
tutto quello che non ci dicono ai corsi
L’Enpam ci richiede una percentuale importante del nostro reddito: il 19,5%, che non è poco… Tuttavia bisogna pensare (o sperare ) che sono denari che investiamo per la nostra pensione e, al momento, questo valore è inferiore a quello di altre casse come, ad esempio, quella degli artigiani e commercianti che richiede un 24%; inoltre l’Enpam appare più sicura rispetto a situazioni più compromesse come quelle dell’INPS.
Questo discorso vale per chi è ditta individuale, ma per chi ha una società, con cui gestisce lo studio, la situazione cambia. In questo caso l’Enpam non solo calcola il contributo rispetto al reddito professionale, ma lo somma a quello valutato sull’utile della società, anche se non prelevato.
Il fatturato della società deve però dipendere da attività legate alla professione (prestazioni sanitarie e corsi di formazione professionale), mentre non viene richiesto se il fatturato, e quindi il conseguente utile societario, derivi da attività extra cliniche, come ad esempio quelle immobiliari o commerciali al di fuori dell’ambito odontoiatrico. Questa tipologia di società è però molto rara.
Quindi chi possiede una società con cui fattura prestazioni sanitarie si trova in una situazione paradossale: ha creato una organizzazione fiscale anche perché pensava di pagare meno Enpam (almeno così gli era stato raccontato…) e invece si trova a pagarne di più.
Per fare un esempio con una società con 100.000 di utile:
- se il titolare lo preleva tutto come fatturando per prestazioni sanitarie si ritrova con un reddito di 100.000 che significa 19.500 di Enpam
- decide quindi di prelevare solo 20.000 per evitare di pagare tali contributi. Lascia quindi in seno alla società 80.000 di utile, pensando di pagare l’Enpam solo sui 20.000, cioè 3.900 (20.000x 19,5%)
- in realtà i contributi non vengono pagati solo sul reddito di 20.000, ma anche su quegli 80.000 di utile che non sono stati prelevati
- quindi si trova a pagare il 19,5% su 20.000=3.900 più il 19,5% sugli 80.000= 15.600. Conclusione: 15.600+3.900= 19.500. Se però ha prelevato solo 20.000 allora gli rimangono in tasca solo 500…
- inoltre con la società dovrà pagare all’Enpam anche lo 0,5% sul fatturato
La legge che riguarda tali aspetti è del 2013, quindi sono già otto anni che è in vigore. Nel 2016, per comprendere meglio la situazione, rivolsi, tramite il dr. Marco Snaidero, una interrogazione alla dirigenza Enpam (2). La risposta è stata pubblicata in questo articolo (1).
Dal testo si evince chiaramente che “…anche gli utili non ripartiti sono da assoggettare, comunque a contribuzione Enpam”.
Per chi ha creato una società, anche per pagare minori contributi, non è certo una buona notizia. Questo però non è quello che ci raccontano. Certi formatori e commercialisti poco preparati sono dell’avviso che non sia da pagare. Questi consigli però possono condizionare la nostra vita e metterci in situazioni molto spiacevoli.
Anche nell’ultimo corso alcuni partecipanti sono rimasti sorpresi da questa informazione.
Le giustificazioni o ragioni per tale comportamento sono sempre le stesse:
- il commercialista non me lo ha detto: questa è una situazione grave che può senz’altro mettere in dubbio la fiducia nel professionista, che non conosce bene le nostre regole contributive. C’è da chiedersi se conosca altrettanto male le altre…
- il commercialista mi ha detto che lo sapeva, ma non me lo ha detto perchè non ritiene corretto pagare: questo è un caso ancora più grave del precedente. Se nel primo caso si può parlare di “colpa” (da ignoranza), nel secondo caso si parla di “dolo”. Il commercialista afferma di averlo saputo, ma non ha avvisato il cliente perchè “secondo lui” è sbagliato pagare. In questo caso si ravvisano due aspetti: a) il commercialista priva il cliente della libera scelta in quanto decide per lui. Il cliente infatti adeguatamente edotto potrebbe decidere se pagare o non pagare. In questo caso la libera scelta gli viene negata. b) il fatto di dire “beh però lo sapevo”… sa molto di scusa, per evitare una figuraccia e non ricadere nel caso precedente (ignoranza del legge)
- non è da pagare perchè incostituzionale: L’Enpam ha vinto più di 70 cause su tali aspetti. L’incostituzionalità riportata in alcune vicende non è stata neanche presa in considerazione dal giudice, spesso definita pretestuosa.
- non è da pagare perché tanto nessuno paga e non controllano: le società che hanno pagato tali contributi sono circa 5.500 e, purtroppo, l’Enpam controlla. Lo fa tramite collegamenti incrociati con l’Agenzia delle Entrate con cui collabora. Ormai è praticamente impossibile e anche ingenuo pensare che in nostri dati non siano visibili o passibili di controllo. In questo periodo e ancor più in futuro queste casse avranno bisogno di denaro e quindi la loro “ricerca” sarà molto più attenta. I controlli in ogni caso ci sono già stati.
A questo punto possiamo escludere, dai vantaggi di una società odontoiatrica, la riduzione dei contributi Enpam. Anzi in questo caso una simile organizzazione fiscale rappresenta uno svantaggio. Infatti mentre un professionista su 100.000 paga 19.500 di contributi, chi ha una società paga la stessa cifra (che facciano parte del reddito o dell’utile è indifferente) in più ci deve aggiungere lo 0,5% sul fatturato (escluso quello derivante dall’igiene) che vien pagato in “fondo solidarietà” ovvero “fondo perduto”, ormai da alcuni anni.
E’ importante quindi considerare bene tutti gli aspetti e soprattutto scegliere commercialisti e persone che ci diano le giuste informazioni per evitare di trovarci in spiacevoli situazioni che potrebbero compromettere realmente la nostra sicurezza economica.
dr.Tiziano Caprara